Missione Scopritori - Tappa 5 - ETNA

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In questa tappa della Missione Scopritori siamo andati alla scoperta di una regione italiana estremamente affascinante, l’Etna in Sicilia!

La Missione Scopritori di Terroirs è un viaggio in 8 territori vitivinicoli che andremo a scoprire insieme a voi nei prossimi mesi. Quattro saranno le tappe all’estero e quattro quelle in Italia.

Arrivati all’aeroporto Fontanarossa di Catania, scendiamo le scalette dell’aereo, basta un rapido colpo d’occhio verso nord e lo si vede subito con la sua imponente presenza. Prendiamo una macchina in affittiamo e ci dirigiamo verso Solicchiata. Quando si sale al versante nord del Mongibello, termine d’utilizzo locale per chiamare l’Etna, si percorre l’autostrada costeggiando il mare in direzione Messina, si supera il famoso porto di Riposto, e pochi chilometri dopo a Fiumefreddo si lascia l’autostrada per iniziare a salire per la strada statale 120. E’ una strada piuttosto stretta in effetti dalla quale salgono e scendono macchine e camion in maniera talvolta selvaggia, ci si trova subito accolti dalle prime costruzioni in pietra nera lavica, e si sente sempre di più la presenza del vulcano. Ci sono molti elementi dei quali si sente la presenza, il movimento del mare, l’infinità dell’Oceano, l’abbraccio delle montagne nelle valli alpine; quando si sale su un vulcano attivo, si ha sempre l’impressione di non essere “al sicuro”, le strade sono coperte da cenere vulcanica che picchietta contro il parabrezza della macchina, tutto questo fa sentire come sia estremamente affascinante questo territorio.

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L’Etna è un vulcano che raggiunge i 3000 metri di altitudine e da sempre sui fianchi si fa viticoltura e i terreni sono particolarmente fertili. Tra i vari versanti, quello esposto a nord è sicuramente nell’ambito vitivinicolo il più vocato. Percorrendo la SS120 che passa per Linguaglossa, Solicchiata, Passopisciaro, Randazzo si ha alla propria sinistra il versante che sale verso la cima del vulcano e sulla destra un’ampia valle oltre la quale si apre il selvaggio Parco dei Nebrodi. Il clima su questo versante è estremamente mutevole durante la giornata, possiamo avere il sole la mattina e un’ora dopo dei pesanti scrosci d’acqua, questo perché in questa valle si incanalano in venti del mare creando contrasto con l’aria fredda dei Nebrodi e dunque precipitazioni.

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La viticoltura sul versante Nord dell’Etna può variare da altitudini dai 500 metri di Linguaglossa fino a oltre 1000 metri in prossimità di Maletto. Ogni paese ha la propria storia, le proprie colate laviche che a più riprese si sono mangiate terreni agricoli e, chiaramente, ogni paese ha le proprie contrade, le famose contrade. Sull’Etna storicamente si coltiva il Nerello Mascalese, accompagnato poi dal Nerello Cappuccio, dalla grenache, dall’alicante, per le uve rosse ed dalla Carricante, la Minnella per le uve bianche. I suoli sono chiaramente vulcanici, ma anch’essi possono variare in colore a seconda dei minerali presenti, e nella finezza della sabbia vulcanica. Fare viticoltura ed agricoltura sull’Etna è da sempre stato considerato un gesto eroico, per la difficoltà di fare una vigna e per il costante rischio di poterla perdere. L’ultima colata lavica sul versante nord dell’etna risale al 1923, passando nei pressi della colata ancora oggi c’è solo roccia lavica, saranno necessari decenni, secoli perché piano piano si possa disgregare e lasciare i primi spazi ad arbusti per crescere e con gli accumuli di sabbia si possano formare delle zone coltivabili.

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Siamo venuti a trovare Eduardo Torres Acosta, un giovane viticoltore di origine canaria, di Tenerife. Approdato nel 2012 in Sicilia per fare esperienza inizialmente a Vittoria da Arianna Occhipinti, trova subito la via per andare a lavorare come enologo presso Passopisciaro dove lavorerà per 4 vendemmie. E’ interessante vedere come Eduardo sia arrivato da un’isola vulcanica dell’Oceano Atlantico ad un’isola con un vulcano attivo nel Mediterraneo. Eduardo negli anni ha voluto creare un progetto che potesse raccontare le sfumature del versante nord dell’Etna, cercando vigneti vecchi da prendere in gestione e altri da acquistare. L’obiettivo di Eduardo è la preservazione del patrimonio viticolo etneo, prendendosi cura di vecchi impianti vitati dove troviamo molte varietà oltre al Mascalese, che nascono in luoghi dove la viticoltura si è adattata al territorio.

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Eduardo ci ha portato a visitare diverse parcelle da lui coltivate, come quella di Quota Nave, vicino a Maletto oltre i 1000 metri dove continua un’opera di restauro del vigneto, poi a Pirrera dove la vigna sorge vicino ad una vecchia cava in contrada Sciaranuova, a suo giudizio tra le contrade più vocate dell’Etna, ed infine abbiamo visitato il vigneto di Arenaria che differisce dai precedenti in quanto si trova su un terreno sabbioso di origine marina sulla faglia tettonica tra la piattaforma Africana che scendendo sotto l’Euroasiatica ha fatto emergere questa tipologia di suoli totalmente differenti. In ogni vigna che abbiamo visitato c’è stato un enorme lavoro di recupero o meglio di conservazione e recupero. Stiamo parlando di parcelle in alcuni casi difficili persino da raggiungere con un fuoristrada. Per questo la viticoltura in questa zona è da definirsi come eroica. Eduardo ha cercato d’un lato dunque di produrre vini con uno stile di interpretazione personale e dall’altra di ambientarsi e creare sinergie con alcune famiglie locali.

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Siamo andati infatti con Carmelo, il figlio di Gioacchino Sofia, a visitare un palmento che è stato funzionante fino a tre anni prima. L’incontro con Carmelo è stato fondamentale per capire la storia dell’Etna, dove il vino si è sempre prodotto in queste particolari strutture. Un Palmento è un’edificio diviso su tre piani. Partendo dal piano più elevato di gettava l’uva da una finestra e si pigiava con i piedi, i ricordi di Carmelo sono ancora vivi delle persone a braccetto che cantavano mentre pigiavano l’uva, questa poi finiva in vasche sottostanti dove il vino fermentava in 3 giorni, poi veniva svinato; il mosto finiva direttamente in cantina e le bucce venivano torchiate con un torchio a leva di grandi dimensioni, si faceva un mucchio di vinacce, veniva riposto un disco di legno,  dei parallelepipedi di legno incrociati e poi veniva abbastato il trave principale per la spremitura, l’operazione si ripeteva fino ad avere una vinaccia asciutta. Il torchiato finiva anch’esso in cantina.

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Il Palmento generalmente era di proprietà di più famiglie ed ogni anno cambiava sempre l’ordine delle persone che lo utilizzavano, infatti il primo lo “puliva” e i successivi l’avevano già “avvinato”. Il vino che veniva prodotto era di un rosso chiaro, tendente al rosato. Questo vino chiamato in dialetto “pista e mutta” era il vino dell’Etna, quello che storicamente veniva commercializzato tramite gli imbarchi al porto di Riposto per raggiungere il nord Italia o la Francia. Come spesso capita nelle regioni di storico commercio del vino addirittura veniva venduto ancora prima di aver finito di fermentare, un vero e proprio mosto in fermentazione. E’ stato un incontro quello con Carmelo e la famiglia Sofia davvero importante, che ha chiuso un’anello storico molto importante per capire la vera tradizione del vino etneo, dove si parlava di vini da beva, piuttosto freschi lontani da lunghe macerazioni ed affinamenti.

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Il girono successivo siamo poi andati a Randazzo a conoscere una persona davvero speciale, Giovanna Musumeci, proprietaria della pasticceria Musumeci e seconda generazione di questa attività famigliare. Giovanna Musumeci è una donna che ha fatto del gelato e della granita la sua missione nella vita. Giovanna ci ha raccontato di come è nato il gelato, ovvero dalle prime aggiunte di uno sciroppo alla neve, passando per la cristallizzazione di uno sciroppo in una ciotola tenuta nella neve, alla rivoluzione del gelato con l’aggiunta dei grassi animali o vegetali nella base della preparazione.

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Giovanna ci ha raccontato oltre alla storia del gelato a quanto si senta fortunata di essere etnea, per la qualità della materia prima che riesce a reperire, partendo dal pistacchio di Bronte, alle nocciole, le mandorle, e tutta la frutta meravigliosa che riesce a recuperare a seconda della stagione. Ad inizio aprile quando l’abbiamo visitata ci siamo trovati inebriati dal profumo di due cassette di mandarini che mentre parlavamo venivano spremuti per recuperare d’un lato la buccia per un gelato e dall’altra il succo per la granita (assoluto di mandarino, vi giuriamo che ovunque siate, vale il viaggio).

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A questo punto dopo diversi assaggi abbiamo preparato una granita al limone, lo sappiamo in Sicilia, la granita è una cosa seria, ed anche Giovanna ci ha sottolineato di quanto la granita in realtà sia un vero e proprio stile di vita. La granita infatti non è da vedere come un semplice prodotto corroborante ma un vero e proprio prodotto energetico. Scherzi a parte vedere la cura con la quale veniva preparata una semplice granita al limone, partendo dal succo e dalla buccia grattata grossa, e la successiva mantacatura nella gelatiera verticale è stata uno spettacolo, senza parlare del gusto, qui la materia prima la fa da padrone ed è il cuore del discorso, l’Etna è una terra estremamente vocata per diverse colture frutticole tra cui anche l’uva.

Si conclude così la quarta tappa della nostra Missione, un saluto dal fumante Mongibello. Se non avete fatto ancora visita a questo terroir affascinante, non perdete tempo e fateci un giro. Continuate a seguirci in questo viaggio alla scoperta dei territori e le loro culture gastronomiche!

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